Sicurezza, il presidente UCI David Lappartient: “Ritengo che le radio in gara non siano necessarie, ma per ora non c’è un piano per vietarle”

"Sta diventando sempre più difficile organizzare le corse perché le strade non sono progettate per ospitarle - ha aggiunto il dirigente francese - Stiamo anche lavorando per segnalare meglio gli ostacoli e la direzione dei percorsi"

Il presidente dell’Unione Ciclistica Internazionale David Lappartient torna a parlare della questione sicurezza. Il tema continua a essere al centro del dibattito in seno al massimo organismo mondiale del ciclismo, le cui proposte e decisioni prese a riguardo negli ultimi anni hanno talvolta fatto discutere e altre volte hanno invece incontrato il favore di corridori e addetti ai lavori, ma i tanti incidenti che ancora si verificano durante le gare impongono di continuare a lavorare per cercare di migliorare ulteriormente la situazione. Il numero uno dell’UCI ha toccato diversi punti importanti riguardo a tale argomento nel corso di un’intervista rilasciata a Marca.

“È una questione che riguarda tutti noi – le parole del 51enne transalpino – Per i corridori in primo luogo, perché è il loro lavoro. È molto stressante gareggiare al giorno d’oggi con tutti questi ostacoli sulle strade. Per le squadre, ovviamente, perché non vogliono mettere in pericolo i loro dipendenti; per gli organizzatori, perché non si vuole organizzare una gara per avere incidenti o inconvenienti; e per l’UCI, perché la nostra missione è garantire che il ciclismo sia sicuro“.

“Stiamo lavorando insieme perché non si tratta di passarsi la patata bollente a vicenda – ha proseguito Lappartient – Una delle grandi difficoltà che abbiamo oggi è che le strade sono sempre più adatte ai pedoni o ai ciclisti, ma non alle gare ciclistiche. Perché quando si vuole ridurre la velocità delle auto, a volte da 70 a 50 o 60 all’ora, per poter condividere le strade con i ciclisti o i pedoni, va bene. Ma quando si porta una gara ciclistica alla velocità che abbiamo oggi… Non sono state progettate per le gare ciclistiche“.

“A titolo di esempio, ho ricevuto una lettera da un organizzatore in Belgio in cui si dice che prima facevano così, ma che dovranno cambiare la città di arrivo perché quella in cui finivano non è più adatta al ciclismo professionistico – ha aggiunto il presidente dell’UCI – Non è colpa dei corridori, degli organizzatori, dell’UCI o delle squadre. Dobbiamo riconoscere che sta diventando sempre più difficile, con molti ostacoli o segnali sulla strada. Abbiamo apportato molti miglioramenti. Segnaliamo sempre più ostacoli, adottiamo più regole e mettiamo più persone sul percorso. Ma c’è anche più tensione nel gruppo. E più ostacoli. Non è una sfida facile per nessuno. Perché anche la velocità è sempre più elevata e lo si percepisce parlando con i corridori. È stressante. E probabilmente si corre in modo più aggressivo di prima. Quindi bisogna essere sempre svegli in gara. Ed è piuttosto difficile”.

In alcune gare all’inizio di questa stagione si sono inoltre riscontrati problemi di segnalazione o errori di direzione da parte dei corridori: “Ci sono diverse questioni da affrontare. In primo luogo, stiamo lavorando per avvisarli in anticipo dell’ostacolo che incontreranno e per proteggerli da esso. La terza cosa è segnalare bene dove sta andando la corsa. In alcune gare, diversi corridori hanno preso la direzione sbagliata. La responsabilità è un po’ condivisa. Internamente ci siamo detti che dobbiamo avere le stesse indicazioni a prescindere dalla gara, perché i corridori devono avere familiarità con il tipo di indicazione che troveranno, che sia in Spagna o in Belgio. Riteniamo quindi che l’UCI debba adottare questa soluzione“.

Altra questione molto dibattuta riguarda il possibile divieto delle radioline in gara: “Personalmente, ritengo che le radio in gara non siano necessarie, ma so che altre parti interessate non sono d’accordo. Alcuni corridori sono favorevoli, altri contrari. I team manager sono più favorevoli, mentre i tifosi sono completamente contrari. Non è così facile. Tuttavia, ci sono gare in cui non c’è la radio, come i Mondiali o le Olimpiadi, e ci sono meno incidenti. Pertanto, non è vero che con le radio la gara è più sicura. Potenzialmente, potremmo anche avere un canale per i corridori, non uno con i team manager, ma uno per condividere le stesse informazioni. È una cosa di cui si sta ancora discutendo. Ma al momento non c’è un piano per vietarle“.

Riguardo alla sicurezza, negli scorsi mesi non sono mancate le preoccupazioni attorno ai Mondiali in Rwanda, nazione al cui confine erano in corso scontri armati nell’ambito di una guerra civile nella Repubblica Democratica del Congo (e nei quali era in parte coinvolto lo stesso paese che ospiterà la rassegna iridata a settembre), ma ora le cose sembrano andare meglio: “Nelle ultime settimane il Paese è riuscito a trovare un accordo con la Repubblica Democratica del Congo sotto l’egida degli Stati Uniti. Hanno firmato una sorta di primo documento per firmare un accordo di pace. E questo è fantastico. Quindi, la situazione si sta normalizzando e i Mondiali saranno un successo. Sono quindi molto felice di vedere che la tensione sta passando e che per la prima volta un Campionato del Mondo di ciclismo si terrà in Africa”.

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